Psicogenealogia e superamento del lutto
Come spiega molto bene l’analista junghiana Varena Kast nel suo libro “L’esperienza del distacco” (Red edizioni), la nostra società è malata di incapacità congenita a elaborare correttamente il lutto.
La morte è uno dei tabù più forti a cui l’uomo moderno è confrontato : non se ne parla, è un soggetto completamente delegato alla religione e quando a qualcuno capita di dover affrontare la morte di una persona cara gli si consiglia di pensare ad altro, divertirsi, prendere delle medicine, fare un viaggio, ecc.
La morte e la sofferenza sono vissute come qualche cosa di lontano e quando siamo personalmente toccati da queste esperienze cerchiamo automaticamente di trovare in ogni modo un rimedio e dimenticare presto.
Naturalmente questo non è effettivamente possibile.
Non c’è rimedio alla morte e alla sofferenza che si prova per il distacco da qualcuno che si è amato: si può cercare di non pensarci, si può prendere degli psicofarmaci per affievolire il dolore, trovare nuove e interessanti occupazioni, ma prima o poi ci si deve confrontare con questa realtà, ci piaccia o no.
Confrontarsi implica spesso sensi di colpa, idee di morte, sentimento di incapacità e non-valore (per non essere morto al posto della persona deceduta, per non aver potuto evitarne la morte, ecc.), pesanti somatizzazioni, handicap emozionali, ecc.
Secondo Elisabeth Küber-Ross vi sono varie « fasi » dell’elaborazione del lutto attraverso le quali la persona deve generalmente passare
La prima fase è caratterizzata da sbalordimento, shoc, assenza di emozioni : la persona non può credere che il fatto sia realmente accaduto, c’è un rifiuto della realtà, una negazione dell’evento. Lo stato di choc provoca, secondo Doris e Lise Langlois, la mobilitazione di ormoni che agiscono come una protezione contro una troppo grande sofferenza. Questa reazione naturale produce nella persona la sensazione come di essere di ghiaccio, paralizzata e senza emozioni. C’è una perdita di senso della realtà : questo spiega allucinazioni visive e auditive che possono manifestarsi, come, per esempio, vedere o sentire il defunto
Dopo la fase dello choc emotivo c’è una fase detta della negazione che si manifesta in molti modi come nella ricerca ossessiva di un colpevole, nell’idealizzazione (la persona morta è ricordata perfetta, senza difetti), o la fuga nell’alcol, negli psicofarmaci, ecc. Queste sono tutte espressioni di meccanismi di difesa che cercano di proteggere la persona dall’eccesso di sofferenza e vanno considerati positivamente se non si prolungano troppo nel tempo diventando un modo di essere.
La terza fase è quella della depressione : la persona riesce ad accettare l’evento e riesce a entrare in contatto con la sofferenza per la perdita. Possono essere presenti stati di ansia, paura, angoscia, sentimento di abbandono, di rigetto, di impotenza, sensi di colpa immotivati, perdita di fiducia in se stessi.
Nella fase successiva, la depressione lascia il posto alla collera, contro se stessi, contro altre persone ritenute responsabili, ma anche contro la persona deceduta perché la si considera colpevole di aver lasciato nella vita di chi è rimasto le conseguenze della pedita. La collera aiuta a uscire dalla depressione e quando è vissuta correttamente porta al perdono.
Ma prima generalmente si passa per uno stato di tristezza che precede l’accettazione. Si trova un senso alla perdita, si trova la risposta a quello che la perdita ha prodotto nella nostra vita. L’accettazione può anche essere vissuta da una generazione diversa da quella che ha vissuto direttamente il lutto (psicogenealogia).
Infine c’è il perdono o guarigione della memoria : perdoniamo a noi stessi e agli altri per essere degli esseri umani imperfetti, ritroviamo il senso delle cose e in questo modo si può produrre un rinnovamento interiore che conduce alla pace e alla serenità.
Purtroppo sovente accade che invece di ammettere la sofferenza che la morte e il distacco della persona cara ci provoca cerchiamo di rimuoverla, non la accettiamo e non l’affrontiamo. In questo modo si resta bloccati a delle fasi anteriori del processo di elaborazione del lutto : non c’é distacco senza sofferenza, è necessario sempre di fare il lutto di quello che avevamo per poter accedere a un nuovo stato di maturazione.
La cultura occidentale certo non aiuta: essendo la morte un tabù, non si prevedono riti e cerimonie pubbliche come nelle società tradizionali: la morte è considerata una cosa privata, non c’è il villaggio che sostiene la famiglia e che l’aiuta a elaborare la perdita. Al contrario le persone in lutto devono gestire il loro dolore da sole evitando anzi il più possibile di coinvolgere altri. È vissuto come “degno” l’atteggiamento di tristezza per il lutto senza troppe manifestazioni esteriori...
Per quella che é definita la “malattia del lutto”, cioé l’ incapacità delle persone a superare correttamente il lutto, la psicogenealogia può essere estremamente utile : fare di una persona morta un elemento del proprio albero genealogico significa ridargli uno spazio dentro e fuori di noi.
Come diceva Sant Agostino : i morti sono degli invisibili non degli assenti.
Maura Saita
maura.saita@libero.it
LINK
http://psicogenealogia-costellazioni.it