Dal libro sull’impatto della Grande guerra in Val d’Aosta a cura di Carlo A. Rossi e Stefania Roullet, prefazione di Maura Saita Ravizza
"Quando Carlo A. Rossi, per conto dell’Association Valdôtaine Archives Sonores, mi ha parlato per la prima volta del progetto di realizzare un pubblicazione multimediale con documenti vari (diari, lettere, fotografie e soprattutto, le preziosissime testimonianze orali archiviate già 35-40 anni fa) raccolti in Valle d'Aosta sulla Prima Guerra mondiale, ho pensato che questo fosse davvero un lavoro molto importante.
Io mi occupo, come molti altri colleghi, di analisi transgenerazionale, cioè dell'influenza che il vissuto degli antenati ha nel presente delle persone. L'ipotesi che sta alla base di questo approccio, creato negli anni '80 da una psicologa francese nata appena dopo la fine della Grande Guerra, Anne Ancelin Schutzenberger il cui cognome coniuga due opposti in quel conflitto: Ancelin, francese e Schutzenberger, tedesco, è che nella nostra psiche portiamo anche i traumi, le ingiustizie e gli eventi tragici delle generazioni passate.
Le persone, spesso inconsapevolmente, si ritrovano a vivere e a ripetere eventi che hanno già determinato il destino degli antenati. Nel suo libro, questa studiosa riporta incubi fatti da bambini, nipoti di soldati, che sognano strane maschere con tubi (maschere a gas) e si risvegliano da questi incubi con crisi di asma, problemi respiratori, come a ricordare qualchecosa che era stato vissuto da un antecedente.
Già Carl Gustav Jung asseriva quasi cento anni fa:
“L’essere umano è in possesso di molte cose che non ha acquisito dalla propria esperienza ma che ha ereditato dai suoi antenati. Non nasce tabula rasa ma semplicemente inconsapevole. Nascendo porta con sé dei sistemi organizzati specificatamente umani, pronti a funzionare, che deve alle migliaia di anni di evoluzione umana (...) i sistemi ereditati corrispondono alle situazioni umane che prevalgono dai tempi più antichi, questo vuol dire che c’è giovinezza e vecchiaia, nascita e morte, figli e figlie, padri e madri, accoppiamenti... ecc. Solo la conoscenza individuale vive questi fattori per la prima volta. Per il sistema corporeo e per l’inconscio, questo non è nuovo.”[1]
La psicogenealogia attraverso l'analisi della storia della famiglia aiuta le persone a capire chi sono e da dove vengono, ma anche qualcosa di più delle vicende accadute agli avi che hanno poi determinato tutta la storia familiare. La piccola storia di ciascuno di noi si incrocia con la Storia dell'epoca in cui abbiamo vissuto. Secondo Vincent de Gaulejac, psicosociologo francese, l’individuo è l’oggetto di una storia di cui cerca di diventare il soggetto. E si può diventare soggetto della propria storia quando si è compreso quello che è accaduto nel passato. Come asserisce Nietzsche:L’uomo che sa perché soffre può sopportare qualsiasi cosa”.
Per questo ritengo che una raccolta di testimonianze sulla Grande Guerra sia molto interessante. Lo è, evidentemente, per un’Associazione che si occupa da sempre di memoria e che ha come missione quella di divulgare racconti di esperienze la cui autenticità è fuori discussione, ma lo è anche per la comunità a cui questo lavoro è rivolto.
Io stessa, nella terza edizione del mio libro Jung, Psicogenealogia e Costellazioni Familiari (Golem edizioni), ho inserito un capitolo sui Traumi storici, intendendo per traumi storici gli eventi drammatici che hanno coinvolto la popolazione nel suo insieme e hanno avuto un impatto traumatico sul singolo individuo.
Quando le persone sono in presenza di sconvolgimenti brutali del mondo ordinario che scatena sentimenti generalizzati di insicurezza, di prossimità con la morte, di perdita delle certezze familiari, disorientamento spaziale e temporale, possiamo ipotizzare che abbiano subito un trauma.(...)
Da sempre si ipotizza che esista una trasmissione inconscia tra genitori e figli (intergenerazionale ) che poi a loro volta la tramandano ai loro successori (trasmissione transgenerazionale). Inoltre la teoria dell’inconscio collettivo di Jung ritiene, come abbiamo precedentemente visto, che siamo portatori anche delle memorie dei nostri antenati.
Ma recentemente l’epigenetica ha confermato queste intuizioni: due studi, uno in Svizzera e l’altro negli Stati Uniti, hanno dimostrato che il trauma modifica piccole frazioni di materiale genetico chiamato microRna e che questa alterazione si trasmette per tre generazioni.[2]
La Prima Guerra Mondiale è stata la più cruenta e brutale di quelle vissute e conosciute fino a quel momento dall'umanità. Basti pensare che il numero di vittime (tra caduti militari e vittime civili) solo in Italia fu di un milione e duecento quarantamila su una popolazione di 35 milioni: il 3,48%. Solo la Francia pagò forse, in percentuale, un tributo così alto.[3] Inoltre, ci furono un milione di feriti, di cui mezzo milione di mutilati e un numero imprecisato di soldati che sono impazziti alcuni dei quali furono internati nei manicomi, mentre altri furono considerati disertori e fucilati.
Anche la piccola Valle d’Aosta (che contava all’epoca solo 82.000 abitanti circa), dovette sacrificare ben 1557 giovani vite, tale è infatti il numero dei caduti tra i circa 8500 valdostani chiamati a operare in zona bellica[4] .
Tutti gli uomini nati dal 1874 (avevano 41 anni all'inizio della guerra) al 1899 per cui fu fatta una legge perché potessero essere chiamati avendo 18 anni, parteciparono a questa guerra, che avessero figli o meno, che fossero l'unico sostentamento della famiglia come sovente accadeva e anche se erano figli unici di madre vedova. A casa mogli, madri, sorelle dovettero prendersi il carico di nutrire la famiglia e i figli, vivendo spesso condizioni di difficoltà e miseria.
Gli uomini si trovarono coinvolti in una guerra "insensata", pianificata da generali che utilizzavano strategie ormai obsolete di campagne militari del passato, senza rendersi conto che la tecnica di avanzamento delle truppe per la conquista del territorio era completamente inefficace davanti ad armi potenti come mai se ne erano viste prima: mitragliatrici, cannoni con proiettili esplosivi e gittata di oltre 10 km, bombe a frammentazione, obici di grande potenza.
L'insensibilità di gran parte dello Stato Maggiore dell'esercito Regio arrivava al punto di fare il conto dei morti necessari per conquistare postazioni: diecimila morti per un ettaro di terra[5].
Dalle trincee i soldati avanzavano sui corpi dei compagni, con la minaccia dei carabinieri che, ogni volta che veniva deciso un assalto, si schieravano dietro di loro pronti a sparare se qualcuno avesse tentato di scappare
L'incapacità del comando superiore ad adattarsi alla nuova situazione costò all'Italia milioni di morti. Alla disfatta di Caporetto del '17 si arrivò anche perché la situazione psicologica era disperata : i soldati erano, dopo tre anni di guerra, privi di speranza, disillusi, scoraggiati, senza più desiderio di reagire.
Caporetto permise all'esercito austriaco di conquistare il Friuli e una parte del Veneto fino al Piave dove si fermarono. Tutto questo territorio inaspettatamente conquistato fu messo a ferro e fuoco, un milione di italiani si trovò in balia di un esercito di occupazione composto da tedeschi, ungheresi, croati, bosniaci, austriaci. Migliaia di donne furono violentate quasi sempre da soldati in gruppo[6] e i nati da queste violenze furono così numerosi che si dovette aprire un orfanotrofio per loro: gli uomini tornati a casa non vollero tenere i con sé i figli del nemico.
Di queste cose non si è più parlato e nelle famiglie, si è nascosta la verità nel tentativo vano di dimenticare.
E arrivo al secondo punto per cui ritengo importante questo libro: i traumi sofferti sono spesso passati sotto silenzio perché è un effetto del trauma stesso la vergogna e il bisogno di nasconderlo.
La vergogna dei soldati trattati come bestie da macello, degli "atti eroici" che avevano alle spalle i moschetti dei carabinieri se qualcuno non avesse aderito al comando di sacrificare la propria vita per un pezzo di terra. La vergogna delle donne violentate o obbligate a prostituirsi perché l'esercito si prendeva tutti i prodotti del territorio per nutrire le truppe o perché sole a casa non sapevano come sfamare i figli.
I ricordi di questa guerra spesso non sono stati trasmessi ai discendenti e sono rimasti come "un cancro nell'anima", come dice Boris Cyrulnik uno dei massimi esperti di resilienza, la reazione positiva al trauma.
E spesso non sono stati neanche ricordati i morti: molte persone vengono da me in studio ad analizzare il proprio albero genealogico e lì scoprono, grazie a un sito dove si trovano i nominativi di tutti i soldati morti nella Grande Guerra[7], di cosa era morto il prozio o il nonno del quale non si sapeva nulla.
Molto spesso questi morti, i cui corpi erano irriconoscibili perché straziati dalle bombe, erano stati dichiarati dispersi e questo provocò che per molti anni, anche dopo la fine della guerra, nelle famiglie si continuasse a sperare. Madri, mogli, figli e figlie attendevano invano un ritorno impossibile.
Nella stessa epoca in cui alcuni dei nostri antenati occultavano il ricordo del trauma che avevano vissuto, Sigmund Freud cominciò a ipotizzare l'esistenza di alcuni meccanismi di difesa della mente, tra cui la rimozione.
Alcuni eventi troppo difficili da accettare, vengono "rimossi" dalla coscienza per essere nascosti nella psiche più profonda, ma senza poter parlare dell'accaduto non si può superare il trauma e questo resta all'interno della persona causando ulteriore sofferenza. Ciò potrebbe spiegare l'alcolismo, la violenza di alcuni uomini verso mogli e figli, vittime della rabbia non espressa di cui non erano colpevoli.
Conoscere la Storia ci permette di meglio capire come hanno vissuto i nostri avi e le testimonianze ci riportano a una Storia concreta, reale, che racconta la vita delle persone su cui questa Storia ha agito. E, forse, in queste narrazioni possiamo ritrovare anche un pezzetto della vita vissuta dai nostri nonni e bisnonni."
Maura Saita Ravizza Psicogenealogia e Costellazioni psicogenealogiche, Torino