PSICOGENEALOGIA 5 - Cripta e fantasmi - Effetto Zeigarnik - Bambino di sostituzione

Pubblicato il da Maura Saita Ravizza

Le nozioni di cripta e fantasma di Nicolas Abraham e Maria Torok

Nicolas Abraham e Maria Torok , psicoanalisti freudiani di origine ungherese, si sono resi conto, dopo aver seguito centinaia di persone in psicanalisi, che spesso le difficoltà dei loro pazienti non erano semplicemente riconducibili alla loro storia personale. Hanno ipotizzato che alcuni conflitti fossero riconducibili a dei segreti familiari che, lasciando un vuoto nella storia della famiglia, creano una "cripta" nell'inconscio della persona, nella quale possono nascere dei "fantasmi"- problemi relazionali, ossessioni, fobie, deliri, allucinazioni, ecc. [1]

Secondo loro, il fantasma nasce dall'interiorizzazione nell'inconscio di una parte della realtà che non può essere né accettata né rimossa e che, creando un conflitto irrisolvibile, può arrivare a esprimersi con crisi deliranti e allucinatorie.

Questi conflitti nascono dai segreti inconfessabili che i defunti hanno portato nella tomba: un trauma del passato, un lutto non elaborato, una vergogna indicibile, diventato segreto di famiglia, agirebbe come uno "spettro" suscettibile di perturbare le famiglie attraverso le generazioni. Questo fantasma nasce dalle lacune (segreti) lasciate nella storia familiare: i discendenti diventerebbero portatori di una tomba o cripta, dove resta seppellito, come un morto-vivente, il segreto di un fatto inconfessabile.[2]

Il fantasma è una formazione dell'inconscio che ha come particolarità di non essere mai stata cosciente (...) e di risultare dal passaggio - il cui modo resta da determinare - dall'inconscio di un genitore a quello di un figlio, di un antenato a quello di un discendente. (...) L'apparizione del fantasma indicherebbe dunque gli effetti sui discendenti di ciò che ha avuto per il genitore valore di ferita, vedi di catastrofe, narcisistica.[3]

[1] M. Saita Ravizza, Psicogenealogia e Costellazioni familiari, Golem Edizioni, 2013, p. 53 e sgg

[2] M. Saita Ravizza, Psicogenealogia e segreti di famiglia, Mursia editore, 2015 p.94 e seguenti

[3] N. Abraham, M. Torok, L'ecorce et le noyau, p. 426

Effetto Zeigarnik

Buma Zeigarnik (1901/1988) ha condotto degli studi e delle ricerche sul fenomeno della maggiore memorizzazione di un incarico se esso non si è concluso. I risultati dei suoi esperimenti hanno evidenziato che il desiderio di realizzazione di un “compito” crea una motivazione che resta insoddisfatta se questo non è stato portato a termine. Questa "ansia di completamento" è la ragione per cui la psiche ricorda più a lungo un incarico che non è stato realizzato di uno che è stato completato. L'effetto Zeigarnik è pertanto la tendenza a ricordare maggiormente un’incombenza quando la sua esecuzione è stato interrotta.

È una spiegazione alle ripetizioni transgenerazionali: nell'inconscio familiare si mantengono nella memoria collettiva i compiti non conclusi come i traumi non elaborati, i lutti non risolti, i non-detti e i segreti.[1]

[1] A. Ancelin Schützenberger, Psychogénéalogie, Payot, 2007, p. 61

Bambino di sostituzione

Il bambino di sostituzione è un bambino che rimpiazza nella famiglia una persona che è morta di cui non si è completato il lutto. Un genitore ha subito la morte dolorosa di una persona cara, e non l'ha potuta accettare, dunque non ha potuto elaborare la perdita: per riempire il vuoto e illudersi che la persona sia ancora in vita questo genitore proietta sul nuovo nato o su un figlio che maggiormente si presta, la figura del morto. Il bambino vittima di questa proiezione viene chiamato "bambino di sostituzione".

I bambini che si adeguano volentieri alle attese dei genitori e sono così condannati a rivestire un ruolo che non è il loro e quindi a negare la loro vera identità.[1]

Anna Ancelin Schutzenberger parla del caso di Vincent Van Gogh, nato un anno esatto dopo la morte del fratello maggiore, nato e morto un anno prima della sua nascita, che anche lui si chiamava Vincent. Una madre perennemente in lutto che lo porta continuamente sulla tomba di questo bambino con il suo stesso nome. Probabilmente per tutta la sua vita Van Gogh ha lottato contro l’oscurità di questo lutto con i colori e la follia dei suoi magnifici quadri.

Quando suo fratello Theo attribuisce lo stesso nome a suo figlio e scrive a Vincent Van Gogh una lettera dove dice, a proposito di questo figlio, - "Spero che questo Vincent vivrà e potrà realizzarsi”, Vincent Van Gogh si suicida come se per lui non ci potessero essere due Vincent Van Gogh viventi nello stesso momento.[2]

Il celebre pittore Salvador Dalì racconta: “Ho vissuto la mia morte prima di vivere la mia vita. A l’età di sette anni mio fratello maggiore è morto di meningite, tra anni prima che io nascessi. Ciò distrusse mia madre nel profondo del suo essere. La precocità, il genio, la grazia, la bellezza di questo fratello erano la sua gioia: la sua morte fu uno choc terribile. Non se ne rimise mai. La disperazione dei miei genitori non fu placata che dalla mia nascita, ma la loro infelicità continuo a penetrare ogni cellula del loro corpo. Nelle viscere di mia madre, potevo già sentire la sua angoscia. Il mio feto navigava in una placenta infernale. La loro angoscia non mi ha mai lasciato… ho vissuto la persistenza di mio fratello come un trauma, una sorta di alienazione dell’affetto, e il sentimento di essere vinto” 

[1] Doris et Lise Langlois, Psychogénéalogie, mode d’emploi, Malabut, 2005, p.131 e sgg

[2] A. Ancelin Schützenberger, La sindrome degli antenati, Di Renzo Editore, Roma 2011, p. 148

Maura Saita Ravizza

Propongo sedute individuali di psicogenealogia e costellazioni psicogenealogiche a Torino nel mio studio di via Gropello (vicino alla stazione di Porta Susa e al metro Principi D'Acaja)

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